Un padre ed un figlio sedicenne, un reparto di neuropsichiatria infantile. Una settimana di ricovero, non il primo, per tentare ancora di salvare il proprio figlio adolescente da quel male di vivere che lo sta prosciugando, che non gli permette di mangiare e di fare cose "normali" come ci si aspetterebbe da un ragazzo di quell'età. Nello stesso reparto tanti altri ragazzi con problemi analoghi, con la stessa difficoltà a vivere, e dietro di loro mamme o papà che arrancano, non sanno come e cosa fare, camminano ogni giorno sulle uova in un equilibrio precario e snervante e cercano di accettare questa "neve in fondo al mare"; questo qualcosa che non ci si aspetterebbe di trovare nell'animo di un ragazzo o ragazza tanto giovane, e invece...
Questo è stato il primo libro di Matteo Bussola che ho letto ed è anche l'ultimo pubblicato, e leggendolo e sottolineando tantissimi stralci, il desiderio di leggere tutti gli altri suoi romanzi si è fatto sempre più vivo.
Ho trovato questa storia e soprattutto il modo di raccontarla, di una sensibilità, delicatezza, profondità uniche, impossibile non commuoversi ed impossibile non chiedersi come abbia fatto Bussola a descrivere così bene certe tematiche, certi pensieri così intimi, certe dinamiche così sottili.
"Non so ancora che la ferita più grande sei tu, che amarti significa accoglierla, che i padri nascono per sanguinare in silenzio, che certi sorrisi di bambino sono solo lame in attesa del buio."
"Gli abbiamo fatto credere che l'amore c'entri con il merito, capisci? Che gli vorremo più bene se farà le cose giuste, se asseconderà le nostre aspettative, se riuscirà a suscitare quella scintilla di orgoglio nel tuo sguardo."
"Continua a insegnarci che amare un figlio, o una figlia, vuol dire amare un tradimento, voler loro bene soprattutto quando sono molto diversi da ciò che si era sperato."