Si fanno del male, oppure del bene, ma le loro strade sembrano non toccarsi mai veramente; lei vuole spiccare il volo, diventare famosa, lasciare per sempre quelle montagne abbandonate da tutti, lui non vorrebbe lasciarle mai e tornare alle origini come viveva suo nonno, come un vero margaro.
Amo Avallone scrittrice, il suo Acciaio mi è rimasto nel cuore, ma non sono riuscita ad amare altrettanto questo libro perchè, nonostante tutto, ho trovato insopportabili entrambi i protagonisti.
Le sue caratteristiche rimangono; scrittura descrittiva ma non noiosa, scelte originali, soggetto interessante, ma qualcosa non mi ha convinta, non solo i protagonisti ma forse tutti i personaggi, non sono riuscita ad entrare in connessione con nessuno di essi, mi sembravano tutti privi di un qualsiasi potenziale lontanamente positivo.
È però una storia che in qualche modo lascia il segno, che non si dimentica facilmente?
La risposta è sì, quindi è un romanzo che vale la pena leggere.
"Uno di loro ricordò di aver festeggiato lì la prima comunione. Vent'anni dopo erano rimasti il tetto e le inferriate. Vent'anni dopo era tutto finito."
"La sofferenza degli animali - ma questo lo avrebbe imparato solo crescendo - per certi versi è la più straziante che esista. Perchè gli animali non parlano, non possono esprimere con il linguaggio quello che sentono. Se solo potessero dire qualcosa, qualunque cosa, il loro dolore avrebbe un nome, e quindi una misura. "
"Marina non era mai cresciuta. Dentro di sè non era mai riuscita a evolvere da quel nucleo originario che erano lei e sua madre insieme, affacciate alla finestra ad aspettare che suo padre tornasse."
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